Le aurore sono un vero spettacolo della natura, ovunque si verifichino e qualunque sia la causa.
Sulla Terra vengono chiamate comunemente aurore polari perché sono fenomeni che si verificano intorno ai poli e alle alte latitudini del nostro pianeta. Si formano a causa dell'interazione delle particelle cariche provenienti dal Sole con la ionosfera terrestre, ossia la fascia di atmosfera compresa tra 100 e 500 chilometri di quota. Protoni ed elettroni arrivano con il vento solare: parte di essi "scivolano" sulla magnetosfera e proseguono oltre, altri riescono a penetrare fino alla ionosfera nel punto in cui le linee di forza della magnetosfera terrestre si chiudono riducendo l’effetto schermante, ossia ai poli. Questa interazione eccita le particelle cariche degli strati superiori dell'atmosfera terrestre che si "accendono" per ionizzazione: lo scambio di elettroni tra gli atomi genera energia sotto forma di fotoni nello spettro visibile, ossia luce. I diversi colori che vediamo dipendono dai gas interessati dal processo: ognuno risponde ad una caratteristica lunghezza d'onda e quindi produce un colore specifico.
Altrove nel sistema solare, Giove e alcune delle sue lune, così come Saturno, Urano, Nettuno e persino Marte hanno tutti esibito la propria versione dell'aurora boreale. Ma il fenomeno ancora non era mai stato osservato sulle comete.
La sonda dell'ESA Rosetta ha esplorato la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (67P/C-G) da agosto 2014 fino al giorno della sua tragica fine a settembre 2016.
Ora, una nuova analisi dei dati ha reinterpretato quello che gli scienziati avevano inizalmente definito "bagliore diurno", un processo causato da fotoni della luce solare che interagiscono con l'involucro di gas noto come chioma. Secondo il nuovo studio, pubblicato su Nature Astronomy, si tratterebbe invece di emissioni di natura aurorale. In questo caso, gli elettroni che fluiscono con il vento solare, interagiscono con il gas nella chioma della cometa, rompendo l'acqua e altre molecole. Gli atomi risultanti emettono una luce distintiva ultravioletta, invisibile a occhio nudo.
"Il bagliore che circonda il 67P/C-G è unico nel suo genere", ha affermato Marina Galand dell'Imperial College di Londra, autrice principale del documento. "Collegando i dati di numerosi strumenti Rosetta, siamo stati in grado di ottenere un quadro migliore di ciò che stava accadendo. Questo ci ha permesso di identificare in modo inequivocabile come si formano le emissioni atomiche ultraviolette della cometa".
"Rosetta continua ed essere un dono", ha detto Paul Feldman, co-autore della ricerca e scienziato del team di Alice, lo strumento che aveva rilevato la quantità e l'energia degli elettroni vicino la sonda. "Il tesoro di dati che ha restituito durante la sua visita di due anni sulla cometa ci ha permesso di riscrivere il libro su questi abitanti più esotici del nostro sistema solare e, a detta di tutti ci sarà molto di più in arrivo".