I dati della sonda della NASA Cassini sono ancora una fonte inesauribile di sorprese, nonostante la missione sia terminata ormai da circa 4 anni.
I potenti geyser d'acqua che eruttano dal polo sud della luna di Saturno, Encelado, hanno da sempre affascinato gli scienziati ed il pubblico. Furono individuati per la prima volta, il 17 febbraio 2005,  quando la sonda eseguì il suo primo passaggio ravvicinato sulla luna. Durante il sorvolo, il magnetometro MAG rilevò uno strano disturbo nel campo magnetico di Saturno in corrispondenza del polo sud di Encelado, simile agli effetti che prodotti da una cometa. Furono così scoperti i geyser, i potenti getti di vapore acqueo ed altre sostanze provenienti dalle profonde fessure chiamate tiger stripes, o "strisce della tigre" (ulteriori dettagli sono presenti nel capitolo 9 del mio libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno"). La Cassini sfiorò i geyser diverse volte nel corso della missione, campionandone la composizione chimica durante i fly-by più spericolati. Gli scienziati hanno già trovato diverse prove che indicano interazioni tra acqua e roccia nell'oceano sotterraneo di Encelado, in cima alla lista dei posti potenzialmente abitabili del nostro Sistema Solare.

Volando attraverso i grandi getti d'acqua, la Cassini ha rilevato una concentrazione relativamente alta di alcune molecole generalmente associate alle bocche idrotermali sul fondo degli oceani della Terra, in particolare diidrogeno, metano e anidride carbonica. La quantità di metano trovata nei pennacchi è stata particolarmente inaspettata.

Encelado cassini flyby E8

Il polo sud di Encelado ripreso dalla sonda della NASA Cassini durante il fly-by E8 (21 novembre 2009). Flickr: https://flic.kr/p/VsT11L
Crediti: NASA/JPL-Caltech - Processing: Elisabetta Bonora & Marco Faccin / aliveuniverse.today

"Volevamo sapere: i microbi simili alla Terra che si nutrono il diidrogeno e producono metano potrebbero spiegare la quantità sorprendentemente elevata di metano rilevata da Cassini?", ha affermato Regis Ferriere, professore del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evolutiva dell'Università dell'Arizona, uno dei due autori principali dello studio pubblicato su Nature Astronomy. "La ricerca di tali microbi, noti come metanogeni, sul fondo marino di Encelado richiederebbe missioni di immersione profonde estremamente impegnative che non saremo in grado di effettuare per diversi decenni". Quindi, Ferriere e il suo team hanno intrapreso una strada diversa: hanno costruito simulazioni per calcolare la probabilità che processi diversi, inclusa la metanogenesi biologica, possano spiegare i dati.

Gli autori hanno applicato nuovi modelli matematici che combinano la geochimica e l'ecologia microbica per analizzare le informazioni sui getti arrivate dalla Cassini e modellare i possibili processi che spieghino al meglio le osservazioni. I risultati sono rimasti ambigui e coerenti sia con l'attività microbica delle bocche idrotermali, sia con processi abiotici molto diversi, però, da quelli che si verificano sulla Terra.

Sulla Terra, l'attività idrotermale si verifica quando l'acqua di mare fredda penetra nel fondo dell'oceano, circola attraverso la roccia sottostante e passa vicino a una fonte di calore, come una camera magmatica, prima di uscire nuovamente nell'acqua attraverso le bocche idrotermali.
Sulla Terra, il metano può essere prodotto attraverso l'attività idrotermale ma a un ritmo lento. La maggior parte della produzione è dovuta a microrganismi che sfruttano lo squilibrio chimico del diidrogeno prodotto idrotermicamente come fonte di energia e producono metano dall'anidride carbonica in un processo chiamato metanogenesi.

methane in the plumes - crediti NASA/JPL-CaltechIl team ha esaminato la composizione dei geyser di Encelado come il risultato finale di diversi processi chimici e fisici che si verificano all'interno della luna. In primo luogo, i ricercatori hanno valutato quale produzione idrotermale di diidrogeno si adatterebbe meglio alle osservazioni di Cassini e se questa produzione potrebbe fornire abbastanza "cibo" per sostenere una popolazione di metanogeni idrogenotrofi simili a quelli terrestri. Per fare ciò, hanno sviluppato un modello per le dinamiche di popolazione di un ipotetico metanogeno idrogenotrofo, la cui nicchia termica ed energetica è stata modellata su ceppi noti della Terra. Quindi, gli autori hanno eseguito la simulazione per vedere se un determinato insieme di condizioni chimiche, come la concentrazione di diidrogeno nel fluido idrotermale e la temperatura, avrebbero fornito un ambiente adatto per la crescita di questi microbi. Hanno anche esaminato quale effetto avrebbe un'ipotetica popolazione di microbi sull'ambiente circostante, ad esempio sui tassi di fuga di diidrogeno e metano nel pennacchio.

"In sintesi, non solo potremmo valutare se le osservazioni di Cassini sono compatibili con un ambiente abitabile per la vita, ma potremmo anche fare previsioni quantitative sulle osservazioni previste, qualora la metanogenesi dovesse effettivamente verificarsi sul fondo marino di Encelado", ha spiegato Ferriere.

I risultati suggeriscono che anche la stima più alta possibile della produzione abiotica di metano basata sulla chimica idrotermale nota è lungi dall'essere sufficiente per spiegare la concentrazione di metano misurata nei getti. L'aggiunta della metanogenesi biologica al mix, tuttavia, potrebbe produrre abbastanza metano da corrispondere alle osservazioni di Cassini.

"Ovviamente, non stiamo concludendo che la vita esiste nell'oceano di Encelado", ha detto Ferriere. "Piuttosto, volevamo capire quanto fosse probabile che le bocche idrotermali di Encelado potessero essere abitabili da microrganismi simili alla Terra. Molto probabilmente lo sono, ci dicono i dati di Cassini, secondo i nostri modelli".
"E la metanogenesi biologica sembra essere compatibile con i dati. In altre parole, non possiamo scartare l'ipotesi di vita come altamente improbabile. Per rifiutare l'ipotesi di vita, abbiamo bisogno di più dati dalle missioni future", ha aggiunto. Se non vogliamo prendere in considerazione questa possibilità, spiega lo scienziato, allora dovremmo comunque considerare meccanismi abiotici "molto alieni rispetto a quelli che conosciamo qui sulla Terra".