Come la Huygen atterrò su Titano

Credit: NASA/JPL/ESA

Il lander Huygens dell'Agenzia Spaziale Esa, lanciato con la missione congiunta NASA/ESA/ASI il 15 ottobre 1997, raggiunse Titano, la grande luna di Saturno a bordo dell'orbiter Cassini; discese verso la superficie dove rimbalzò e scivolò traballante, fermandosi dopo 10 secondi. Era il 14 gennaio 2005.

Da una nuova analisi dei dati ottenuti durante l'atterraggio, emerge che la superficie di Titano è più complessa di quanto si pensasse.

Solo qualche giorno fa avevamo parlato della sua forma insolita, forse causata dal complesso ciclo metereologico. Ora, gli scienziati hanno ricostruito la catena degli eventi delle fasi di atterraggio, incrociando i dati di tutti i strumenti attivi della Huygens, valutando in particolare le variazioni di accelerazione. I risultati ottenuti sono stati poi confrontati con le simulazioni al computer utilizzati per replicare l'atterraggio ed hanno fornito nuove indicazioni sulla natura della superficie di Titano.

L'analisi rileva che al primo impatto con il suolo, la Huygens ha creato una depressione profonda 12 centimetri prima di rimbalzare ulteriormente.
La sua massa era di circa 200 chilogrammi ed ha colpito il terreno con una velocità d'urto simile a quella di una palla che cade dall'altezza di un metro, qui sulla Terra. La sonda, inclinata quindi di circa 10 gradi nella direzione del moto dopo l'impatto, è scivolata ancora per circa 30 - 40 centimetri. Ha rallentato poi per attrito, arrivando nella posizione finale. I sensori della Huygens hanno continuato a rilevare vibrazioni per altri 2 secondi e il movimento è cessato quasi del tutto 10 secondi dopo il touchdown.

"Un picco nei dati dell’accelerazione suggerisce che durante la prima oscillazione, la sonda probabilmente ha colpito un sasso sporgente di circa 2 cm dalla superficie di Titano che potrebbe aver spinto nel terreno, suggerendo una consistenza simile alla sabbia morbida ed umida", ha detto Stefan Schröder del Max Planck Institute per la ricerca sul Sistema Solare, autore principale dell'articolo che riporta i risultati dello studio, pubblicato sulla rivista Planetary and Space Science.

"E' come avere la neve con uno strato congelato in superficie", ha detto Erich Karkoschka co-autore della University of Arizona a Tucson. "Se si cammina con attenzione, la superficie si comporta come fosse solida ma se si fa un passo con più forza allora si sprofonda."

Se la sonda avesse colpito una sostanza come il fango, i suoi strumenti avrebbero registrato uno "splat" di arresto: il suolo invece deve essere stato abbastanza morbido per permettere alla sonda di creare una depressione sufficientemente forte da sostenere la sua massa e farla rimbalzare e scivolare ancora.

D'altra parte, durante l'impatto è stato registrato anche un certo movimento di polveri, aerosol di natura organica, che ci suggerisce che la superficie doveva essere secca: probabilmente le piogge di etano e metano erano assenti da un po' di tempo.

Grazie a questa nuova ricerca, dopo tanti anni, l'importanza storica di questo evento torna alla ribalta.