Ci siamo. Dopo un'odissea durata ben 16 mesi, la sonda termica dello strumento HP("Heat Flow and Physical Properties Package"), è ora seppellita sotto alcuni millimetri di terreno e adesso la pala del braccio robotico di Insight è stata abbassata per fare pressione su tale materiale ed agevolare la penetrazione in profondità della cosiddetta "talpa". Questo almeno ci dicono le ultime immagini inviate a terra dalle due telecamere di Insight, la "Instrument Deployment Camera" (IDC) e la "Instrument Context Camera" (ICC). La sequenza di 5 giorni mostra infatti un lento ma progressivo abbassamento di alcuni centimetri e nell'ultima, ricevuta stamane e mostrata più in basso, è chiaro che la superficie della pala è praticamente a contatto col terreno. Oltre alla sequenza di immagini riportata in apertura e relativa all'ultima settimana di spostamenti, in fondo all'articolo è possibile ammirare le evoluzioni del braccio robotico attorno alla talpa su un periodo molto più ampio (si ringrazia Elisabetta Bonora per aver realizzato l'animazione).

 Le notizie ufficiali invece si fermano a una settimana fa, quando il "solito" Tilman Spohn (direttore scientifico dell'esperimento HP3, gestito dall'agenzia spaziale tedesca DLR) raccontava gli ultimi progressi. "In seguito dei test con la talpa libera, condotti a giugno", ricorda Tilman, "il team aveva deciso di sollevare il braccio meccanico per dare un'occhiata alla sonda nel suo foro. Alcuni di noi si aspettavano - o temevano - che le precedenti azioni di martellamento avrebbero drenato la sabbia dalla fossa. La sabbia, così si pensava, si sarebbe allentata e sarebbe caduta in eventuali crepe e cavità più profonde nella "duricrust" superficiale. Dopotutto, siamo ancora perplessi su dove sia finito tutto il materiale, circa 300 centimetri cubi, quando la cavità si è formata nel marzo 2019".

The pit

Immagine IDC dal Sol 577; si notino le ampie fessure verticali nel foro, subito sotto lo strato di sabbia superficiale detto "duricrust" - Credits: NASA / JPL-Caltech

 "Invece, siamo rimasti piacevolmente sorpresi nel vedere che la talpa era in gran parte ricoperta di sabbia (vedi immagine sopra) e sporgevano solo l'estremo posteriore e alcuni centimetri dello scafo. Pare che invece di essere drenata, la sabbia si sia accumulata nella fossa, probabilmente a causa di una di frammentazione prolungata durante i martellamenti" racconta sempre Spohn. "Dopo aver esaminato le immagini del Sol 577, la discussione del team si è rapidamente spostata sulle strategie per la mossa successiva. Alcuni erano favorevoli a riempire subito la fossa, compattare la sabbia in essa e quindi spingere la pala sulla superficie per fornire forza, che sarebbe poi stata trasmessa alla talpa dalla sabbia; la forza sarebbe stata sufficiente per compensare il rinculo del meccanismo del martello, pari a circa 7 Newton. Altri hanno sostenuto l'opportunità di far affondare prima la talpa di qualche centimetro in più, spingendo ancora sulla sommità con pala. Dopo un'intensa discussione, il team ha deciso di eseguire prima una spinta sulla sommità, simile ai "push back cap" condotti con successo nei mesi passati". L'unico problema è che la pala, non potendo entrare nel foro che è più piccolo, andava sollevata, ruotata e fatta spingere con la lama, a rischio di scivolare e danneggiare il cavo, o comunque di non essere in grado di impedire alla talpa di scivolare via e indietreggiare, come già successo in passato e come si vede bene nel filmato in fondo all'articolo

 A quel punto, era necessario raccogliere informazioni addizionali. Non era infatti chiaro quanto efficacemente si sarebbe potuto raschiare il terreno e quanto doveva essere alto lo strato di materiale da riversare sulla talpa per evitare che la pressione della pala la danneggiasse. Da qui il test di raschiamento effettuato nel Sol 600 (4 agosto), per una lunghezza di 12 cm.

Sol598 600

Due immagini IDC riprese a distanza di 2 giorni (Sol 598 e 600) mostrano l'effetto del "raschiamento" di terreno e la sua caduta dentro il foro - Credits: NASA/JPL/Caltech - Processing: Marco Di Lorenzo

 C'erano molti dubbi sull'esito di questo "scratch test" ma alla fine la prova si è rivelata un successo oltre le previsioni: "Il raschiamento è stato molto più efficace del previsto e la sabbia ha riempito quasi completamente la fossa. La talpa è ora coperta, ma c'è solo un sottile strato di sabbia sul cappuccio posteriore". In realtà, paradossalmente, il successo è stato anche conseguenza di un errore nella stima della profondità della raschiatura, poiché è stata asportata una quantità di materiale quasi doppia rispetto al previsto. Anche la profondità della talpa rispetto al terreno era stata sottostimata dalle immagini e questo ha contribuito a un ricoprimento efficace fin dal primo tentativo.

 La raschiatura ha anche avuto l'effetto di livellare parzialmente i dislivelli al bordo del buco, facilitando il posizionamento della pala e quindi si è deciso di portare la talpa un po 'più in profondità nel terreno con l'aiuto della pala. Questa è appunto l'operazione che stiamo effettivamente osservando negli ultimi giorni, con la pala non orizzontale ma ad un angolo di 20-30 gradi rispetto al terreno. Questa era l'operazione più semplice e meno dispendiosa in termini di tempo rispetto a una sequenza di  raschiature, eventualmente combinata con dei movimenti della pala per riempire la fossa.

Sol 612

L'ultima immagine scattata ieri alle ore 8 locali (Sol 612) con la pala ormai adagiata sul terreno sopra la sonda. - Credits: NASA / JPL-Caltech

 Nel frattempo, come notizia al margine, le ultime misure fatte dalla sonda sulla regolite circostante mostrano un aumento della conduttanza termica rispetto a misurazioni precedenti. Ciò suggerisce che sia il contatto termico che quello meccanico tra la talpa e il terreno erano migliorati. Una settimana fa, Tilman si diceva ottimista sull'operazione attualmente in corso e non ci resta che incrociare le dita e sperare per un successo definitivo.

 Una ultima considerazione: anche se le esplorazioni con sonde automatiche come Insight sono enormemente meno costose e rischiose di quelle con equipaggio, bisogna ammettere che se al posto di Insight ci fosse stato un astronauta a supervisionare le operazioni di perforazione, probabilmente tutta la problematica si sarebbe risolta nel giro di poche ore e non certo in 16 mesi! Un discorso analogo, in fondo, si potrebbe fare per i problemi tutto sommato banali che hanno decretato la fine delle missioni di Spirit e Opportunity.

 

Riferimenti:
https://www.dlr.de/blogs/en/desktopdefault.aspx/tabid-5893/searchtagid-71788/