Per molti anni, numerosi Paesi hanno investito nella ricerca per comprendere gli effetti dell’ambiente spaziale sulla crescita delle piante con un notevole approfondimento di alcuni fenomeni come ad esempio il gravitropismo e di alcuni fattori come la microgravità e la milligravità. Oggi è invece necessario non solo estendere la sperimentazione ad aspetti meno studiati ma soprattutto fare riferimento ad un numero più ampio di specie/colture poiché nello Spazio queste possono mostrare risposte profondamente diverse. Bisognerebbe inoltre approfondire anche le modificazioni di crescita cui vanno incontro le piante in presenza di altri fattori come i bassi livelli di gravità (come quelli che si riscontrano sulla Luna e su Marte), la presenza di campi magnetici e delle radiazioni ionizzanti; queste conoscenze sono fondamentali per la progettazione e realizzazione di sistemi biorigenerativi in grado di supportare la vita dell’uomo nello Spazio.

Studi

Sin dall'inizio dell'esplorazione spaziale l'uomo ha indagato, con esperimenti via via più complessi, la possibilità di far crescere le piante nello spazio anche per capire se potevano sostenere un ecosistema artificiale.Ormai si sa per certo che portardo semi nello spazio e coltivandoli essi ci danno piante che possono sopravvivere e danno frutti.Tuttavia lo spazio è un ambiente ostile per la crescita degli organismi che si trovano ad essere sottoposti a diverse problematiche assenti sulla Terra come la temperatura, la durata del ciclo giorno notte la mancanza di batteri, di acqua libera ed altro.Gli studi conducono quindi a due obiettivi:la realizzazione di sistemi ecologici artificiali creando così un ambiente simile a quello presente sulla Terra con la comprensione di specifici fattori ambientali sulla crescita degli organismi vegetali come microgravità e radiazioni.La realizzazione di ambienti specifici differenti dalla Terra e compatibili con le stazioni orbitanti prima e le colonie su altri pianeti poi.

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Piantine di insalata in crescita. Crediti: NASA

 

A cosa servono le piante nello spazio

Le piante, ad esempio, possono rigenerare l'aria mediante assorbimento di CO2 ed emissione di ossigeno grazie al processo fotosintetico.

Purificare l'aria mediante la traspirazione.

Riciclare parte dei prodotti di scarto dell'equipaggio.

Ma non ultimo inoltre possono fornire cibo fresco per l'equipaggio per integrare la dieta.

E cosa dire poi di creare un ambiente più simile a quello terrestre che circondarsi di piante e quindi di verde? E' stato studiato che creare spazi più simili a quello dove siamo vissuti mitiga lo stress psicologico della missione e dell'isolamento in una scatola metallica.

 

Esperimenti

Numerosi esperimenti sono stati condotti da ricercatori di tutto il mondo per definire le condizioni ambientali ed i protocolli di coltivazione ottimali.

Occorreva trovare una metodologia di coltivazione che ottenesse rese produttive soddisfacenti, minimizzando gli scarti non commestibili e massimizzando la produzione di O2 e utilizzando meno acqua potabile.

Nel contempo occorreva prevedere le dinamiche di produzione di cibo, acqua ed ossigeno con gli input necessari come energia, acqua, nutrienti e gas.

E, naturalmente, gli output come la CO2 gli scarti ed altro.

La prima cosa da fare era individuare una coltura adatta a poter essere coltivata in uno spazio così difficile e problematico come una stazione spaziale.

Vennero quindi preferite colture caratterizzate da ciclo di coltura breve, taglia ridotta, resistenza a malattie ed alta produttività oltre al contenuto dei vari nutrienti.

Quale metodologia di coltivazione risulterebbe migliore?

 Affinché le piante possano produrre ossigeno, biomassa edibile (commestibile) e riciclare prodotti di scarto, utilizzando la luce come fonte di energia per la fotosintesi, è necessario che siano allevate in opportune condizioni climatiche e colturali.

Ciò significa avere molti substrati differenti di sostanze nutritive od anche solo acqua con i necessari elementi nutritivi.

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L'astronauta della JAXA (Japan Aerospace Exploration Astronaut) e ingegnere di volo della spedizione 64 Soichi Noguchi controlla la crescita delle piante in cultura idroponica. Crediri: NASA

Genericamente si parla di colture idroponiche in quanto le piante sono coltivate non su terreno tradizionale ma direttamente in acqua nutritiva ma occorre capire bene le varie metodologie utilizzate in quanto molto differenti e testate sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

La prima tecnica, denominata Nutrient Film Technique (NFT), è tra i più diffusi nella ricerca spaziale.

Con il sistema NFT, le piante sono sospese in canaline leggermente inclinate, in cui la soluzione nutritiva scorre per gravità bagnando le radici e può essere raccolta e riutilizzata (ciclo chiuso), dopo opportune correzioni del volume e del contenuto di nutrienti, alterati per effetto dell’assorbimento da parte delle radici.

L'altra tecnica è quella di coltivare le piante su un clinostato mono assiale combinato col sistema idroponico a tubi porosi. Praticamente un cilindro con una sottile rete che contiene diversi tubicini porosi e trattiene un sottile strato di terra dove vanno a collocarsi i semi. Questa metodologia è stata sviluppata dal Dipartimento di Agraria dell'Università Federico II di Napoli.

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Coltivazione su clinostato mono assiale. Crediti: Dipartimento di Agraria Università Federico II Napoli.

Successivamente, dallo stesso dipartimento, è stata sviluppata una innovativa camera di crescita autosufficiente. Questo progetto è denominato “MELISSA” (Micro-Ecological Life Support System Alternative)

Il progetto campano promuove la creazione di un ecosistema artificiale orientato a migliorare la sopravvivenza dell’uomo nello Spazio evitando il consumo di risorse terrestri come acqua, cibo e ossigeno.

Nell’innovativa camera di crescita si studia la creazione di un habitat circolare e autosufficiente dove poter allevare vegetali capaci di supportare la vita degli astronauti nelle piattaforme orbitanti, in colonie planetarie sulla Luna e su Marte oppure a bordo di navicelle spaziali. Coltivate in una camera sigillata in idroponica, ovvero in assenza di terreno e alimentate da sostanze nutritive, le piante svolgono infatti un ruolo fondamentale: rigenerano l’aria attraverso la fotosintesi, purificano l’acqua tramite la traspirazione e producono cibo fresco, ricco di proprietà nutrizionali e nutraceutiche, importante per il fabbisogno e il benessere psicofisico degli astronauti. Senza contare che sono anche in grado di riciclare parzialmente i rifiuti organici prodotti dall’equipaggio.

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L'astronauta italiano Samantha Cristoforetti cura le piantine nel dispositivo XROOTS. Crediti: Nasa

Altra metodologia è la aeroponica unita alla idroponica che servirà a coltivare colture su larga scala e durante le missioni oltre la Terra. La nostra astronauta Samantha Cristoforetti nel corso di Expedition 67, missione del 2022, ha nutrito e controllato ortaggi in crescita grazie ad un dispositivo denominato XROOTS realizzato dalla Sierra Nevada Corporation.

Questo apparecchio consente di far crescere le piante con tecniche di aeroponica seguendo il ciclo completo di crescita dalla germinazione alla maturità. Grazie a video ed immagini fisse è possibile osservare più camere di crescita indipendenti, sia nella zona delle radici, che la pianta in superficie senza danneggiare o toccare in alcun modo la pianta stessa.

Quali piante coltivare?

I primi esperimenti che riguardavano la coltura di piante lontano dalla Terra risalgono agli inizi degli anni '80. E qui i sovietici batterono gli americani sul tempo. Il record per la prima pianta coltivata nello spazio spetta all'equipaggio della stazione spaziale russa Saljut-7, che riuscì a far completare l'intero ciclo vitale di una Arabidopsis thaliana (l'arabetta comune è una piccola pianta annuale o biennale appartenente alla Famiglia delle Brassicacee, a volte nota semplicemente come Arabidopsis) durante i suoi quaranta giorni di vita, la pianta fece alcuni fiori e produsse dei nuovi semi. "I semi piantati durante il volo sono germinati, hanno portato a termine il processo di crescita formando organi riproduttivi e, infine, hanno completato con successo la fase di fecondazione, embriogenesi e maturazione," si legge nell'estratto dell'articolo "Plant growth, development and embryogenesis during Salyut-7 flight".

Dopo i sovietici, anche gli americani si sono dati al giardinaggio.

Nel 1995, una collaborazione fra la NASA e l’Università del Wisconsin diede vita ad un esperimento di coltivazione di tuberi nello spazio condotto a bordo dello Space Shuttle Columbia. Le patate furono seminate in un ambiente a gravità zero e vennero poi esaminate per determinare gli effetti delle condizioni di microgravità sulla loro crescita.

Le patate furono selezionate per la coltivazione nello spazio principalmente per due ragioni: la straordinaria resistenza alle diverse situazioni climatiche e l’eccellente apporto nutrizionale. In primo luogo, trattandosi di piante molto robuste e adattabili, sono in grado di crescere in svariate condizioni ambientali e risultano tolleranti a temperature estreme, umidità e altre avversità. Ciò significa che possono sopravvivere in circostanze spaziali di bassa gravità e radiazioni elevate. In secondo luogo, le patate sono una fonte primaria di nutrienti essenziali come carboidrati, proteine, fibre e vitamine.

Nel 2012 l'astronauta Donald Pettit decise di coltivare un piccolo orto durante il suo soggiorno di cinque mesi a bordo dell'ISS per un esperimento personale. Usando delle normali buste di plastica con chiusura a pressione, Pettit riuscì a coltivare delle piantine di broccoli, girasole e zucchine (da qui prese il nome il suo Diary of a Space Zucchini, un blog piuttosto surreale scritto dal punto di vista della verdura). Purtroppo, però, non crebbero abbastanza per dare frutti, ma tennero compagnia all'astronauta – descritto come "the Gardener" dalla zucchina autrice del diario spaziale.

Due anni dopo l'esperimento di Pettit, la Nasa decise di lanciare un vero e proprio programma di agricoltura aeroponica spaziale: le piante sospese nell'aria vengono alimentate solo da acqua arricchita di nutrienti: Project Veggie. I primi semi ad essere piantati sulla ISS furono quelli di lattuga romana e di zinnia, "Un fiore molto sensibile ai parametri ambientali e alle variazioni della luce con un ciclo di vita di 60-80 giorni," racconta Trent Smith, project manager di Veggie. Una pianta molto difficile da far crescere con successo, ma ottimo precursore delle piante di pomodoro e di altri ortaggi che sono stati ora coltivati sulla Stazione.

Veggie, la "serra" low cost, era realizzata da Orbital Technologies Corporation (ORBITEC) e venne inviata sulla ISS a bordo della missione di rifornimento SpaceX nell'aprile 2014. La struttura era riepiegabile e facile da trasportare e si può espandere fino a circa mezzo metro per accogliere le piante man mano che crescono. "L'area dedicata alle piante è larga 30 centimetri e profonda 37: si tratta della serra spaziale più grande mai costruita finora," dichiara Gioia Massa, scienziata della Nasa impegnata nel progetto.

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Coltivazione insalata rossa in  Veggie. Crediti: NASA

Ogni pianta cresce in una celletta contenente dei panetti a base di un’argilla speciale molto compatta, arricchita con un fertilizzante a lento rilascio. Per ovviare ai problemi di gravità viene rifornita d’acqua con un sistema di irrigazione per infusione, che assomiglia a una specie di stoppino umido. Ogni celletta è dotata di un’illuminazione a LED regolabile anche nel colore oltre che nell’intensità, in cui un temporizzatore regola le ore di luce, l’intensità e anche la lunghezza d’onda cercando di imitare le condizioni terrestri preferire dalla pianta.

Dopo la prima raccolta di lattuga romana nel maggio 2014, l'insalata venne spedita sulla Terra per essere esaminata. Nel frattempo i membri dell'equipaggio iniziarono a coltivate un secondo round di piantine. I risultati positivi dei vari test biochimici diedero il via libera agli astronauti che hanno iniziato a degustare i frutti del loro lavoro solo lo scorso agosto.

Tra il 2014 ed il 2016 è stata coltivata la lattughina romana rossa. Lattuga coltivata a bordo della stazione spaziale, all’interno del Vegetable Production System (per gli amici Veggie) ospitato nel modulo europeo Columbus, e che gli astronauti a bordo della ISS hanno consumato senza danno.

La lattuga coltivata nello spazio è del tutto simile per composizione alle piantine gemelle coltivate a Terra, tranne per il fatto che in alcuni (ma non tutti) gli studi gli esemplari coltivati nello spazio tendono ad essere più ricchi di elementi come il potassio, il sodio, il fosforo, lo zolfo e lo zinco, così come di polifenoli, molecole con comprovata attività antivirale, antitumorale e antinfiammatoria.

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L'astronauta Kate Rubins accanto alle piante di ravanelli cresciute all'interno dell'Advanced Plant Habitat, nella Stazione Spaziale Internazionale. Crediti: ESA/NASA

I ricercatori hanno studiato anche la popolazione di funghi e batteri presenti sulla lattughina romana rossa, individuando 15 generi microbici abbondanti sulle foglie e 20 nelle radici. In tutto e per tutto simili a quelli trovati sui campioni coltivati a Terra. Una somiglianza sorprendente, se teniamo conto delle condizioni uniche a bordo della Iss, che gli scienziati ipotizzavano avrebbero favorito lo sviluppo di comunità microbiche distinte.

"L'insalata nata nello spazio è priva di microbi patogeni ed è nutriente almeno quanto le verdure terrestri, nonostante sia stata sottoposta alle radiazioni intense e alla bassa gravità dello spazio," commenta Christina Khodadad, ricercatrice presso il Kennedy Space Center.

L’ENEA intende sperimentare il metodo in un ambiente ancora più estremo: l’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale. Il progetto denominato BIOxTREME mira a portare in orbita una varietà di pomodoro, ribattezzata Micro-Tom.

Le piante MicroTom sono state ingegnerizzate specificatamente per applicazioni agrospaziali

L'ingegneria PhAN4 ha sostenuto il background genetico del pomodoro nano MicroTom mantenendo la resa e la capacità fotosintetica. L'espressione di PhAN4 ha provocato l'accumulo di antociani e polifenoli, un profilo carotenoide differenziale, una maggiore capacità di scavenging antiossidante dei frutti rispetto al genotipo originale. È stata osservata una migliore capacità di contrastare la generazione di ROS e di preservare il ripiegamento delle proteine vegetali dopo l'irradiazione gamma ex-vivo.

Questi risultati evidenziano che la manipolazione di specifici percorsi metabolici è un approccio promettente per progettare nuove varietà candidate per applicazioni agrospaziali.

In sostanza le sperimentazioni condotte dai ricercatori nel Centro Enea Casaccia e finanziate dall’Agenzia Spaziale Italiana hanno portato allo sviluppo di una pianta in grado di produrre dei superpomodori, ricchi di antiossidanti e antimicrobici.

Ortaggi che potranno fornire agli astronauti tutti i nutrienti necessari ad affrontare le missioni spaziali, rafforzando le loro difese immunitarie.

Nel 2021 gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale hanno recentemente goduto di una nuova fornitura di verdure a foglia verde, grazie in gran parte agli sforzi di Michael Hopkins, membro dell’equipaggio della Expedition 64.
Il comandante della missione Crew-1 di SpaceX per la NASA ha preso l'iniziativa di condurre quattro esperimenti sul sistema di produzione vegetale (Veggie) e gli ultimi due si sono conclusi dopo il raccolto del 13 aprile. VEG-03K e VEG-03L hanno testato una nuova coltura spaziale, la senape "Amara", e una coltura precedentemente coltivata, il pak choi "Extra Dwarf". Sono stati coltivati per 64 giorni, le verdure a foglia verde più lunghe sono cresciute sulla stazione.
Il pak choi (cavolo cinese) è cresciuto così a lungo che ha iniziato a fiorire come parte del suo ciclo di riproduzione. Hopkins ha deciso di utilizzare un piccolo pennello per impollinare i fiori delle piante. Dopo aver usato il pennello, è stato registrato un alto tasso di produzione di semi. Questa sperimentazione è importante perché le colture da frutto richiedono l’impollinazione e gli equipaggi devono capire come funziona il processo in condizioni di microgravità e, infine, in condizioni di gravità ridotta.

A luglio del 2021 sono stati portati semi di peperoncino e più precisamente peperoncino rossi e verdi dal New Mexico. I peperoncini non solo sono in grado di dare molto sapore alle pietanze, ma sono ricchissimi di vitamina C (anche di più rispetto ad alcuni agrumi): queste caratteristiche li hanno resi i candidati perfetti per essere coltivati in orbita.

L’esperimento si chiama Plant Habitat-04 (PH-04), ed è stato avviato dall’astronauta Shane Kimbrough. Non è la prima volta che Kimbrough conduce un esperimento simile. Ha già coltivato piante in orbita e nel 2016 ha assaggiato la lattuga romana.

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L'astronauta della NASA e ingegnere di volo della spedizione 65 Mark Vande Hei pulisce l'habitat delle piante della Stazione spaziale internazionale. Crediti: NASA
Sulla stazione spaziale sono presenti ben tre camere di crescita per le piante: quella utilizzata per la coltivazione dei peperoncini è l’Advanced plant habitat (Aph). Questa camera di crescita utilizza luci a led e un fondo di argilla porosa con fertilizzante a rilascio controllato per fornire acqua, sostanze nutritive e ossigeno alle radici delle piante. La particolarità è che si tratta di un sistema automatizzato, con telecamere e oltre 180 sensori, che possono essere controllati da remoto anche dagli scienziati che si trovano sulla Terra.

"Coltivare verdure colorate nello spazio può avere benefici a lungo termine per la salute fisica e psicologica," ha detto Matt Romeyn, principal investigator dell’esperimento: “Stiamo scoprendo che coltivare piante e ortaggi con colori e odori aiuta a migliorare il benessere degli astronauti".

Cosa accade alle piante quando la gravità è assente?

Sulla Terra è la forza di gravità che aiuta le piante a trovare il percorso più facile per arrivare alle sostanze di cui hanno bisogno per crescere e prosperare, ossia acqua e sali minerali. L’apice delle radici che penetrano nel terreno è protetto da una struttura detta cuffia, al cui interno si trova una regione chiamata columella che rappresenta il sito in cui avviene la percezione della gravità. Le cellule della columella contengono particolari grani d’amido (amiloplasti detti statoliti), liberi di muoversi e quindi soggetti alla forza di gravità. Grazie a questi grani la pianta riesce a percepire le variazioni nella posizione che innescano le reazioni di crescita.

Ma nello spazio non vi è la gravità per questo è nato il progetto Plan Gravity Perception.

I ricercatori stanno studiando l’adattabilità delle piante alla microgravità e la loro sensibilità generale alla gravità simulata, per diversi ceppi di giovani piantine di senape, tra cui la Arabidopsis Thaliana selvatica e una sua variante geneticamente modificata senza amido. Nella variante selvatica, i grani di amido percepiscono la gravità e cadono all’interno delle punte della radice, spingendole verso la Terra. Il fulcro dell’indagine guidata dal botanico Chris Wolverton, Principal Investigator di Plant Gravity Perception risiede nella domanda: “Qual è il minimo valore di gravità che le piante riescono a percepire, tale da indurre la caduta degli amilacei nelle loro cellule?”.

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Diagramma di come è fatto e funziona EMCS. Crediti: ESA

Plant Gravity Perception si serve della facility Emcs (European Modular Cultivation System), un incubatore con due rotori che sono in grado di simulare la gravità. Le piantine vengono dapprima poste in cassette per i semi, quindi vengono allineate lungo le pale radiali di un rotore centrifugo. Ciò consente ai ricercatori di controllare l’intensità della forza gravitazionale che agisce in ogni punto, lungo i bracci di rotazione, simulando centinaia di valori frazionari di gravità in una sola volta, controllati attraverso differenti velocità di rotazione. Proprio come avviene nelle giostre meccaniche presenti al luna park, che fanno ruotare i passeggeri con velocità crescenti fino a diversi giri al minuto, schiacciandoli contro alle pareti della giostra stessa, in questo test la forza gravitazionale viene aumentata progressivamente per stimare le capacità percettive delle piantine. Mentre le braccia della centrifuga girano, gli scienziati cercano di individuare dove si ha un inizio della risposta alla crescita. La risposta più interessante dovrebbe arrivare dalla variante senza amido. Anche queste piantine dovrebbero avere lo stesso sistema di percezione sensoriale della variante selvatica, sebbene si presume rispondano a soglie più alte, visto che non hanno i granuli di amido in grado di muoversi in base alla gravità. Oppure potrebbero usare un sistema completamente diverso per determinare la direzione della crescita. Ovviamente, quando la centrifuga è disattivata, gli scienziati sono in grado di misurare la risposta della piantina alla microgravità e stabilire una linea di base.

Essendo organismi fotosintetici, la crescita delle piante è molto sensibile anche alla luminosità. Con il progetto Plant Gravity Perception, i ricercatori stanno studiando anche la risposta delle piantine a segnali luminosi, per cercare di capire se esiste una relazione tra la percezione della luce e la percezione della gravità. Attraverso i filmati degli esperimenti, i botanici sono in grado di trovare le risposte a queste loro domande e capire come gravità e luce riescano a influenzare la crescita delle piante.

Le piantine del programma Plant Gravity Perception non finiranno mai nei piatti degli astronauti che stanno compiendo questi esperimenti, ma i loro studi permetteranno di selezionare le piante che hanno le migliori capacità di crescere e svilupparsi nello spazio, in vista dei futuri voli spaziali di lunga durata.

 

Non solo cibo ma anche fiori nello spazio!

Grazie a Veggie è anche sbocciato un fiore nello spazio nel lontano 2016.

Si trattava di un esemplare di zinnia, un genere di pianta che appartiene alla famiglia delle Asteracee.

Una scelta tutt'altro che casuale, quella della zinnia che, con una maggiore sensibilità ai parametri ambientali e alle caratteristiche della luce, doveva dire molto agli scienziati su nascita e crescita di un peculiare organismo vivente in condizioni di microgravità. La zinnia, con un arco temporale di crescita tra i 60 e gli 80 giorni, ben si prestava ad analogie con altre piante, come quella del pomodoro.

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Il percorso che aveva portato alla fioritura non era stato dei più semplici: come testimoniava lo stesso astronauta Scott Kelly, le piante erano in condizioni precarie, un segnale negativo anche pensando ad altri contesti. Muffa, epinastia (il fenomeno che porta le foglie a piegarsi) e guttazione (dovuta a un’eccessiva umidità) avevano messo a dura prova le piante, obbligando a qualche cambio in corso d'opera, all'interno del facilitatore messo a punto per il progetto.

La responsabile del programma Veggie della NASA Gioia Massa ha spiegato: “È vero che le piante non sono cresciute perfettamente, ma abbiamo imparato molto da questo. Stiamo imparando molto sulle piante e sui fluidi. Indipendentemente dal risultato finale della fioritura avremo guadagnato molto”.

I fiori di Zinnia non sono stati scelti solo per la loro bellezza, ma soprattutto perché possono aiutare gli scienziati a capire come i fiori nascono e crescono in condizioni di microgravità. “L’impianto del raccolto di Zinnia è molto diverso da quello della lattuga – ha detto Trent Smith, project manager del programma Veggie – È più sensibile ai parametri ambientali e alle caratteristiche della luce.”

Da questo esperimento è nato il progetto ed esperimento per far nascere i pomodori.

GREENCube

E' il primo esperimento di orto spaziale – progettato da un team interamente italiano – a seimila chilometri dalla Terra. Si tratta di una coltura idroponica a ciclo chiuso, fornita di illuminazione, umidità e temperatura controllate per adattarsi all’ambiente spaziale pressurizzato. Cambierà il menù degli astronauti.

Il micro orto misura 30x10x10 centimetri è stato progettato da un team interamente italiano di cui fanno parte ENEA, Università Federico II di Napoli e Sapienza Università di Roma,che ha il ruolo di coordinatore del progetto ed è titolare di un accordo con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).

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Logo missione GreenCube. Crediti: UNINA

 

Il 13 luglio 2022 GREENCube è andato in orbita con il volo inaugurale del nuovo vettore VEGA-C dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), insieme al satellite scientifico LARES-2 (che condurrà studi nel campo della relatività generale e di altre teorie di fisica fondamentale) e ad altri cinque nano-satelliti: gli italiani AstroBio e ALPHA, lo sloveno Trisat-R e i due francesi MTCube-2 e Celesta.

Il satellite ha due diverse unità: la prima contiene le microverdure (crescione), il sistema di coltivazione e controllo ambientale, la soluzione nutritiva, l’atmosfera necessaria e i sensori; nella seconda unità si trova la piattaforma di gestione e controllo del veicolo spaziale.

La sperimentazione della coltura idroponica è a ciclo chiuso, fornita di illuminazione, umidità e temperatura controllate per adattarsi all’ambiente spaziale pressurizzato ed al primo mese di permanenza in orbita sembra funzionare tutto bene.

Una volta che il modulo è stato immesso in orbita, sono stati verificati tutti i sistemi di analisi interni alla camera e sono state impostate condizioni ambientali compatibili con lo sviluppo delle piante. La sperimentazione della cultura idroponica, fuori suolo, viene gestita direttamente da Terra e servirà per verificare la capacità di micro-verdure selezionate di crescere e svilupparsi nonostante le difficili condizioni. Per il primo esperimento è stata una pianta aromatica, il crescione. Sarà molto importante valutare al contempo l’efficienza in termini di consumo di energia, aria, acqua e risorse, per avere una valutazione di fattibilità completa. Anche le radiazioni cosmiche sono una questione su cui occorre indagare e soltanto al termine della sperimentazione (entro pochi giorni dal lancio, dato che i cicli di vita sono di 15-20 giorni) sarà possibile ottenere informazioni scientificamente solide.

Per ora tutto sembra procedere secondo i piani: il lancio è andato per il meglio e il satellite ha iniziato a orbitare attorno al nostro pianeta. Anche durante il passaggio all’interno delle fasce di Van Allen, le zone con maggiore livello di radiazione che avvolgono la Terra, il sistema e le colture hanno mostrato un’ottima resistenza alle condizioni esterne. Questo primo esperimento sarà poi replicato in maniera identica sulla Terra, così da potere avere un confronto immediato e in tempo reale di eventuali differenze che potrebbero sorgere. Una volta terminato questo primo ciclo sperimentale, ci sarà una serie di repliche sempre a terra per perfezionare i sistemi di monitoraggio e le condizioni ambientali a cui sottoporre le piante quando si passerà all'implementazioni di questi sistemi su più larga scala.

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Preparazione del Green Cube. Crediti: Ricerca UNINA

Su GreenCube c'è grande attenzione, nell'ambito della ricerca spaziale, perché la tecnologia potrebbe permettere lo sviluppo di sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita nello spazio. Come noto, gli ortaggi e le verdure sono essenziali per un apporto nutrizionale equilibrato e garantiscono il mantenimento della salute in condizioni complesse come quelle che si possono incontrare nello spazio. Non è solo una questione nutrizionale: tutto questo potrebbe permette di minimizzare i tempi operativi ed abbassare notevolmente i rischi di contaminazione, in quanto il controllo sarebbe passo-passo e del tutto automatizzato.

Da ultimo, ma non per importanza, c'è il tema del benessere psicologico dell’equipaggio: la coltivazione e il consumo di verdure fresche (e in generale di cibi simili alle abitudini alimentarti terrestri) potrebbe contribuire in maniera significativa all'umore degli astronauti. In futuro infatti i cosmonauti saranno sottoposti a missioni sempre più lunghe ed estenuanti, considerati gli ambiziosi obiettivi delle varie agenzie spaziali. Non solo per il ritorno sulla Luna e l'installazione di insediamenti sul nostro satellite naturale, ma anche per viaggiare verso altri pianeti tra cui Marte. Anche se in apparenza parliamo di un piccolo orticello spaziale, non è la taglia dell'esperimento a definirne l'importanza: obiettivi spaziali ultradecennali potrebbero diventare più accessibili se i risultati della sperimentazione di GreenCube fossero soddisfacenti. Le primissime fasi fanno ben sperare.

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Futuristica immagine di coltivazioni sulla Luna. Crediti: Festival dello spazio 2022