Cristianesimo
In poche righe commosse e liriche, scritte di proprio pugno e poi pubblicate sui giornali, l’arcivescovo di Milano cardinale Giovanni Battista Montini, il 12 aprile 1961, partecipa al traguardo raggiunto dall’uomo con la conquista dello spazio; è l’impresa di Jurij Gagarin, il cosmonauta sovietico, felicemente lanciato quel giorno a bordo della capsula spaziale Vostok Est per un giro orbitale di 89 minuti intorno alla Terra. Ecco le sue parole: “Cresce la contemplazione dell’universo. Cresce la speranza del mondo. E tutto questo sembra acquistare senso d’un risveglio nel mistero, sempre più grande, più profondo e più attraente, dell’essere. Del cosmo, così immenso, così vicino, così penetrato di unità e di causalità. La vastità astrale del nuovo panorama invita ancor più al dovere radicale della esistenza, quello religioso, che ci spinge nel segreto del mondo e della vita, e ci allena a celebrare a maggior voce l’ineffabile e incombente grandezza di Dio”
Gagarin era battezzato ma il controllo spietato del partito rendeva impossibile anche credere alla luce del sole. Nikita Chruščëv, l'allora leader dell'Unione Sovietica, in un incontro con i cosmonauti, chiese a Gagarin se per caso nel cosmo avesse incontrato Dio. Gagarin, notando che Chruščëv poneva la domanda con tono canzonatorio, rispose: “L’ho visto”. E Chruščëv lo ammonì: “Non lo dica a nessuno”. Ma questi poi dichiarò con falsità alla stampa che Gagarin, volando nello spazio, non aveva incontrato Dio.
Durante la veglia di Natale nel 1968 l'equipaggio dell'Apollo 8, in orbita intorno alla Luna, lesse brani della Genesi in diretta tv e diventarono un'icona della corsa americana nello spazio. Sette mesi dopo, Buzz Aldrin celebrò il rito della comunione grazie ad un kit da viaggio proveniente dalla sua stessa parrocchia.
“Vi sono molti cristiani al Johnson, - notava Jerry Klumas, un veterano ingegnere dei sistemi e co-fondatore, nei pressi della NASA, della Chiesa del Nazareno. - La comunità cristiana alla NASA non è una minoranza; questo è molto significativo, e la gente della NASA propaganda la sua fede cristiana”.
Eucarestia e la Bibbia in miniatura dell'Apollo 12. Crediti https://ct.org.tw/
Secondo Klumas, queste espressioni di fede religiosa erano abbastanza accettate alla NASA. “I responsabili della NASA non scoraggiavano tali comportamenti, non separavano la Chiesa dallo Stato”. Al centro Johnson i dirigenti incoraggiavano i gruppi di studio della Bibbia, mettendo a loro disposizione luoghi per incontrarsi. Almeno quasi tutti i dirigenti della NASA erano membri attivi della Chiesa. Questa sanzione ufficiale della pratica religiosa a Huntsville, Houston e Cape Canaveral rifletteva i sentimenti dei quartieri generali della NASA a Washington.
Hugh Dryden, il primo capo operativo della NASA negli anni formativi, era un predicatore laico ufficiale metodista cosi come uno stimato scienziato, e, come molti altri alla NASA, anche lui sosteneva che non esisteva necessariamente un conflitto tra le due identità. Brillante studioso di aerodinamica, Dryden fu una figura centrale nella fondazione della NASA e, in particolare, nella spinta al volo spaziale umano. Egli fu per dieci anni direttore della National Advisory Committee on Aeronautics prima di diventare il primo rappresentante amministrativo della NASA nel 1958, posizione che mantenne fino al 1965. Durante la sua vita, fu un membro attivo della Chiesa Metodista del Calvario, dove pronunciava regolarmente sermoni e teneva classi di studio sulla Bibbia.
Nonostante queste aperture, in quei primi anni di esplorazione, ci furono diverse controversie riguardanti l'uso della religione nello spazio ed anche cause intentate da varie Chiese.
Una cittadina aveva scritto alla NASA per esprimere la propria preoccupazione riguardo alla mancanza di un «pensiero spirituale» nella missione Apollo 16; Lloyd le rispose ricordandole la lettura della Genesi in Apollo 8 e la citazione dal Salmo 8, la preghiera che era stata recitata da Buzz Aldrin sull'Apollo 11, la prima missione di allunaggio. Inoltre faceva riferimento alla recente decisione da parte dell'astronauta James Irwin di fondare il proprio ministero evangelico. “Questo certamente dimostra l'enfasi spirituale data al programma spaziale dagli astronauti […]. Siamo d'accordo con lei, – scrisse in nome della NASA, – e io so che anche gli astronauti lo sono: tutti sappiamo che le missioni Apollo non avrebbero potuto avere successo senza l'aiuto di Dio […]. Io credo che possa essere rassicurata dal fatto che coloro che lavorano nel programma spaziale siano in verità consapevoli della presenza del Creatore e non siano privi di valori spirituali”.
Ad esempio, nel 1971, l'astronauta dell'Apollo 15 Irwin (James Irwin, 1930-1991) si commosse molto quando vide le montagne e le profonde vallate sulla Luna e recitò ad alta voce il Salmo 121:1-2. In seguito entrò in seminario, divenne evangelista e andò in vari paesi del mondo per predicare il Vangelo e testimoniare.
Durante le missioni Apollo i cristiani istituirono la "Apollo Prayer League" per pregare per la sicurezza degli astronauti. Questa Lega fu quella che utilizzò la tecnologia dei microfilm per produrre una Bibbia in miniatura leggera e facile da portare nello spazio.
Apollo Prayer League immagini e Bibbia. Crediti: tps://ct.org.tw/
Questo era anche il desiderio di Edward White (1930-1967), uno dei astronauti che morirono nel rogo dell'Apollo 1. Con un totale di 1.245 pagine e più di 770.000 parole, microstampato su un microfilm di mylar a doppio strato lungo 21,6 cm per 16,51 di larghezza, è la Bibbia più piccola del mondo.
È vero che non c’è modo per gli astronauti di partecipare alla messa e di ricevere la comunione, ma non esistono impedimenti che non consentano loro di pregare, da soli o perfino insieme. È il caso di Sid Gutierrez, Thomas Jones e Kevin Chilton, tre astronauti in missione sullo Space Shuttle Endeavour in viaggio nell’aprile del 1994: non solo pregarono insieme, ma celebrarono una liturgia cattolica con l’Eucaristia. E questa è stata la prima volta che qualcuno ha preso l'Ostia Sacra nello spazio.
Nel suo libro biografico Jones scrive, tra le altre cose: “Ogni notte, prima di dormire, ringraziavo Dio per quelle meravigliose viste della Terra e per la riuscita della nostra missione. Pregavo in continuazione per la sicurezza della nostra squadra e affinché finisse tutto con un felice incontro con le nostre famiglie.” Anche in questa missione era stato concesso ad altri astronauti di portare con sé alcune ostie, che venivano distribuite da uno di essi, designato come ministro straordinario dell’Eucaristia.
“Kevin condivise il Corpo di Cristo con Sid e con me e fluttuammo nella cabina di volo, riflettendo in silenzio in questo momento di pace e di vera comunione con Cristo,” scrive ancora Jones, e continua: “Mentre meditavamo tranquillamente nell’oscurità della cabina, una magnifica luce bianca sorse dallo spazio entrando nella cabina. La luce radiante del Sole, penetrava attraverso le finestre anteriori dell’Endeavour, infondendo calore. Quale altro segno avremmo potuto chiedere se non quello? Era la dolce affermazione da parte di Dio della nostra unione con Lui”.
Non è un caso che tra i tre chili di bagaglio che sono concessi a ogni astronauta, spesso ci siano anche crocifissi, santini, icone e oggetti religiosi. Mike Massimino, al suo primo volo, portò addirittura una bandiera del Vaticano che – una volta atterrato sulla Terra – regalò a papa Giovanni Paolo II.
Un caso più recente è quello di Michael S. Hopkins, astronauta e colonnello della U.S. Air Force. La sua missione iniziò nel settembre del 2013: 24 settimane a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Poco prima di partire, l’astronauta si era convertito al cristianesimo e aveva portato a termine il percorso di catechesi. Forse è stata proprio la freschezza della sua fede a rendergli intollerabile l’idea di dover rinunciare per un periodo così lungo a ricevere il Corpo di Cristo. Così, con l’intercessione del suo parroco e un permesso speciale da parte dell’Arcidiocesi di Galveston-Houston, all’astronauta è stato concesso di portare nello spazio una pisside contenente sei ostie consacrate, ciascuna divisa in quattro parti: il necessario per poter ricevere il Santissimo Sacramento una volta alla settimana per tutta la durata della missione. Inoltre il solerte parroco si era anche preoccupato di fargli pervenire ogni settimana l’omelia tramite e-mail, per rendere ancora più completa e confortante la sua esperienza di fede.
L'Eucarestia portata a bordo della ISS. Crediti: NASA
“Sono stato in grado di prendere l’Eucaristia ogni settimana di quei sei mesi. Ci sono state un paio di volte in cui ho ricevuto la Comunione anche in occasioni speciali: ho fatto due passeggiate spaziali; così la mattina di entrambi quei giorni, quando sono uscito per la passeggiata spaziale, ho fatto la Comunione. È stato davvero utile per me sapere che Gesù era con me quando sono uscito dal portello nel vuoto dello spazio. E poi ho ricevuto la mia ultima Comunione nel mio ultimo giorno in orbita nella 'Cupola', che è questa grande finestra che guarda la Terra, e questo è stato un momento molto speciale prima di tornare a casa”. Confida Hopkins.
Recentemente un fotogramma ci mostra la cupola della ISS, dove gli astronauti si raccolgono in preghiera, che presenta di lato alcune icone sacre appartenenti a diverse tradizioni religiose: 4 icone di Santi, una grande croce, i Vangeli e un reliquiario, tutti benedetti prima del volo.
Le Icone ortodosse, sullo sfondo, nel fotogramma di un video sulla ISS. Crediti: NASA
Il crocifisso e le icone sono state sistemate lì dagli astronauti russi che si alternano nella stazione spaziale. Basta un colpo d'occhio per riconoscerne la fattura. Le icone poi, sono un elemento essenziale dei luoghi di culto ortodossi: si tratta di tavole di legno dipinte che raffigurano Gesù, la Madonna e i principali santi, davanti ai quali, nelle chiese, i fedeli accendono centinaia di candele votive. In seguito alla caduta del regime comunista dell’Unione Sovietica, in Russia si è assistito ad una straordinaria rinascita della fede.
Le altre religioni
Ma tra gli astronauti credenti ci sono anche alcuni devoti non cristiani.
Nel momento in cui occorre osservare il Sabbath, ossia la festa del riposo osservata ogni settimana di sabato, Ilan Ramon, astronauta israeliano vittima dell’incidente dello Shuttle Columbia, osservò la festa senza contare i tramonti orbitali, altrimenti la ricorrenza sarebbe caduta ogni nove ore e durata 90 minuti e partì con dei microfilm della Bibbia e con la tradizionale benedizione ebrea trascritta sul suo diario.
Eytan Stibbe fu invece il primo astronauta israeliano a fare il 'seder di Pesach', una serie di letture in ebraico che ricordano la liberazione dalla schiavitù egiziana che si svolge all'inizio della Pasqua ebraica.
Un altro astronauta, Jeff Hoffman, portò con sé sia un menorah, il noto candelabro a sette braccia, e un dreidel, un oggetto liturgico tipico del natale ebraico Hanukkah. Le fiamme del candelabro, raccontano i rapporti della Nasa, bruciarono in modo fioco e impercettibile.
Diversi problemi incontrò invece l'astronauta malese Sheikh Muzafar Shukor nel 2007 come terzo musulmano nello spazio. Persona profondamente religiosa che ha subito diversi ostacoli nel pregare nello spazio.
Quando si è in orbita, come fare a rivolgere le proprie preghiere verso la Mecca? E quanto dovrebbe durare il Ramadan? E la necessità della abluzione rituale con l'acqua ridotta come si deve applicare? Il digiuno o non mangiare determinati alimenti nello spazio come deve essere eseguito?
L'astronauta malese Sheikh Muzafar Shukor prega. Crediti: NASA
Sembrano domande strane ai nostri occhi ma, per chi è religioso e credente, deve seguire questi rituali e quindi ottenere una risposta.
Venne quindi organizzato un incontro in cui furono invitati 150 studiosi islamici, che esaminarono ciascun elemento e crearono alcune regole di preghiera. In realtà, si trattò di creare la prima guida religiosa per un volo spaziale. Inoltre, questa lista venne approvata dal Consiglio Nazionale dell'Islam in Malesia.
Per esempio, si consigliava all’astronauta di fare del proprio meglio nel determinare la direzione della Mecca. Se ciò non fosse stato possibile, bastava rivolgersi verso la Terra. Le cinque preghiere quotidiane sarebbero state calcolate secondo l’orario della base dal quale l’astronauta era partito e ridotte a 3 senza bisogno di inginocchiarsi in quanto, in assenza di gravità, mantenere la classica posizione di preghiera potrebbe diventare difficile; dunque sarebbe bastato anche solo immaginare tale posizione. Come abluzione è permesso usare un asciugamano leggermente umido. Per concludere, nel caso di un eventuale decesso a bordo di una navicella, il corpo sarebbe potuto tornare sul nostro pianeta o, in casi estremi, sarebbe potuto essere ‘seppellito’ nello spazio accompagnato da un semplice rito funebre.
L'astronauta Sunita Lyn Williams nonostante sia americana di nascita, pratica l'induismo. Nel dicembre 2006, ha portato sulla ISS una copia della Bhagavad Gita, “La canzone di Dio” un versetto di 700 scritture Indù che fa parte dell'epico Mahabharata è considerato una delle sacre scritture dell'induismo. Nel luglio 2012, ha portato sempre sulla ISS un pacifico Om, uno dei simboli più importanti dell'induismo. Si dice in vari modi che sia l'essenza del supremo Assoluto, coscienza, Ātman, Brahman, o il mondo cosmico. Nelle tradizioni indiane, Om funge da rappresentazione sonora del divino, uno standard dell'autorità vedica e un aspetto centrale delle dottrine e delle pratiche soteriologiche.
Il simbolo rappresentativo dell'OM. Crediti: Google image
Insieme all'Om la Williams ha portato anche una copia delle Upanishad. Un aggiunta di scritture più moderne del Veda che trattano di filosofia, coscienza e meditazione. Sono le opere letterarie più importanti nella storia delle religioni e della cultura indiana documentando un'ampia varietà di riti ed incarnazioni.
L'unico astronauta di nazionalità indiana è stato Rakesh Sharma che ha volato con la Sojuz T11 nel 1984 insieme ad un equipaggio russo. Rakesh ha trascorso 8 giorni a bordo della stazione orbitale Saljut 7 ed era induista ma sappiamo solo che è stato il primo a fare Yoga nello spazio.
I russi
Nell'immaginario popolare è frequente associare le prime missioni spaziali dei cosmonauti russi ad una velata critica alla religione.
A distanza di oltre 50 anni dai primi viaggi orbitali, di astronauti russi e americani, sappiamo oggi che sulla stazione spaziale internazionale ISS e sulla stazione spaziale MIR non mancano simboli religiosi ed episodi di spiritualità legati alla fede dei protagonisti nello spazio.
In un articolo apparso il 12 aprile 2013 su Pravoslavie.ru, l'igumeno Iov Talats, padre spirituale del distaccamento dei cosmonauti russi e rettore della Chiesa della Trasfigurazione a Zvezdnij Gorodok ("Città delle stelle"), ha risposto ad alcune domande fatte da alcuni giornalisti.
“Periodicamente i cosmonauti venivano alla Lavra della Trinità per parlare soprattutto di questioni spirituali. Da principio erano solo russi poi a poco a poco chi lo desiderava veniva anche per ricevere una benedizione ed abbiamo avuto americani ed europei. Vi è stato un fatto curioso con una donna astronauta coreana, che ho pensato fosse buddista, e quindi non le ho chiesto niente. Ma quando i ragazzi hanno ricevuto la benedizione lei ha tirato fuori una croce dicendo di essere cristiana.
Alcuni astronauti con Lov Talas, al centro con la barba. Crediti: NASA
Quindi a partire dal 2007 ho cominciato ad accompagnare tutti gli equipaggi che hanno volato nello spazio.
Tutti i cosmonauti hanno condiviso le loro impressioni, che anche nello spazio, durante la lettura delle sacre Scritture, hanno chiaramente sentito la presenza di Dio, molti di loro hanno portato reliquie compreso un pezzo della Croce da parte di Maxim Suraev che è rimasta in orbita per mezzo anno.”
Il futuro
La Chiesa Cristiana non si è fermata a dare benedizioni o inviare icone ha mandato in orbita un Cube sat contenente un messaggio di speranza di Papa Francesco.
A coordinare la missione Spei Satelles, su impulso del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, è l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) in collaborazione con il Politecnico di Torino, i cui ricercatori e studenti del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale hanno realizzato il CubeSat 3U. Il CubeSat con all’interno il Nanobook, realizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), è stato posizionato in orbita grazie al veicolo di trasferimento orbitale ION dell’italiana D-ORBIT lanciato con un razzo Falcon 9 lo scorso 12 giugno.
Il satellite e il Nanobook sono oggetti di piccole dimensioni, ma grandi nella loro portata. Già nel nome e nel logo della Missione Spaziale evocano il desiderio di contribuire a generare speranza, ponendo un segno nel cielo affinché sulla terra vi sia più fraternità e condivisione, motori di ogni speranza possibile.
Il logo della missione Spei Satellites. Crediti: NASA
L’iniziativa è una icona del messaggio del Papa del 27 marzo 2020 che, con la Statio Orbis in Piazza S. Pietro, ha invitato il mondo a sperare.
Il progetto ha poi coinvolto l’Agenzia Spaziale Italiana, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Il Politecnico di Torino, l’Instituto para el Diálogo Global y la Cultura del Encuentro – IDGCE, l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia - IUSVE e l’Apostolato Digitale dell’Arcidiocesi di Torino.
Il satellite cuore della missione custodisce il Nanobook, con le parole del Papa, una trasmittente e un chip di memoria che invitano, simbolicamente, le persone a sperare ed agire per condividere speranza.
Andando avanti con la tecnologia e la scienza si perde di vista il fatto che non possiamo non riconoscere che la religione abbia svolto un ruolo essenziale nel costruire identità e comunità. La religione ha saputo ricordarci che è vero che nasciamo soli ma questo non significa che dobbiamo vivere da soli. Al contrario, la religione ha saputo celebrare momenti di condivisone collettiva (pensiamo al Natale e alla Pasqua per il mondo cristiano o al Ramadan per quello musulmano). La religione ha saputo invitare all’arte (seppur usandola per i suoi scopi), al canto, al silenzio e alla riflessione e ha saputo rispondere a quel bisogno di appartenenza che si manifesta in ognuno di noi, sin da quando chiedevamo a mamma un gioco od il cellulare a tutti i costi, per paura di sentirci esclusi dalla comunità a cui volevamo appartenere.
La scienza non credo potrà quindi soddisfare tutti i nostri bisogni più umani, quali appunto il bisogno di essere consolati, quello di appartenere ad una comunità e quello di dare un senso alla nostra esistenza.
Stante questo fatto quando andremo su altri pianeti per colonizzarli porteremo con noi le nostre religioni e, magari, se ne formeranno delle nuove con lo svilupparsi delle Colonie sia che esse siano Marziane o Lunari.