Il 22 settembre 2022, la sonda aveva intenzionalmente impattato con Dimorphos, la piccola luna asteroide Didymos, come test di difesa planetaria. L'impatto è stato così efficace da rimodellare e cambiare l'ordita dell'oggetto. Ora, cinque nuovi documenti esplorano la geologia del sistema binario, per caratterizzarne l'origine e l'evoluzione e limitarne le caratteristiche fisiche.

"Queste scoperte ci forniscono nuove intuizioni sui modi in cui gli asteroidi possono cambiare nel tempo", ha affermato nel comunicato Thomas Statler, scienziato capo per Solar System Small Bodies presso la sede centrale della NASA a Washington. "Questo è importante non solo per comprendere gli oggetti vicini alla Terra che sono al centro della difesa planetaria ma anche per la nostra capacità di leggere la storia del Sistema Solare da questi resti della sua formazione. Questa è solo una parte della ricchezza di nuove conoscenze che abbiamo acquisito da DART".

Questi risultati forniscono un'anticipazione delle ulteriori scoperte attese con la missione HERA dell'ESA (Agenzia Spaziale Europea), che tornerà a visitare il sistema Didymos nel 2026, per analizzare ulteriormente le conseguenze del primo test di difesa planetaria.


Primo studio

Olivier Barnouin e Ronald-Louis Ballouz del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory (APL), hanno guidato uno studio che ha analizzato la geologia di entrambi gli asteroidi e tratto conclusioni sui materiali superficiali e sulle proprietà interne.

Dalle immagini catturate da DART e dal satellite cubesat italiano LICIACube, fornito dall'Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e realizzato dall'azienda torinese Argotec, il team ha studiato la topografia dell'asteroide più piccolo, che presentava massi di dimensioni variabili. In confronto, l'asteroide più grande, Didymos, era più liscio a quote più basse, sebbene roccioso a quote più elevate, con più crateri di Dimorphos. Gli autori hanno dedotto che la piccola luna probabilmente si è staccata da Didymos a seguito di un grande evento avvenuto meno di 300.000 anni fa. Secondo le stime. Dimorphos, invece, potrebbe avere 12,5 milioni di anni.

"Le immagini e i dati che DART ha raccolto nel sistema Didymos hanno offerto un'opportunità unica per uno sguardo geologico ravvicinato di un sistema binario di asteroidi vicino alla Terra", ha affermato Barnouin. "Solo da queste immagini, siamo stati in grado di dedurre una grande quantità di informazioni sulle proprietà geofisiche sia di Didymos che di Dimorphos e di ampliare la nostra comprensione della formazione di questi due asteroidi. Abbiamo anche capito meglio perché DART è stato così efficace nello spostare Dimorphos".

 
Secondo studio

Maurizio Pajola, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Roma e colleghi, hanno guidato un articolo che confronta le forme e le dimensioni dei vari massi e i loro schemi di distribuzione sulle superfici dei due asteroidi.

La squadra ha catalogato 169 rocce su Didymos e 4734 sulla luna Dimorphos. Ne ha determinato le dimensioni e ha studiato quella che in inglese viene chiamata size-frequency distribution (Sfd), ossia la distribuzione per dimensione. Quindi, il raggruppamento in taglie è stato relazionato alla latitudine, longitudine, pendenza superficiale, accelerazione gravitazionale e insolazione.

"Lo studio della distribuzione in taglia dei massi più grandi di 5 metri su Dimorphos, e di quelli più grandi di 22,8 metri su Didymos, ci ha permesso di dire che questi si sono formati a seguito di un singolo evento di frammentazione, un impatto catastrofico, di un asteroide padre", ha dichiarato Pajola.

Questi risultati sembrano supportare la tesi secondo cui, i due oggetti sarebbero il risultato dell'aggregazione dei frammenti provenienti da un unico corpo genitore, rimasto coinvolto in un evento catastrofico. Infatti, i massi di 16 metri identificati su Dimorphos e quelli di 93 metri su Didymos, valori che equivalgono a circa un decimo della dimensione dei rispettivi asteroidi di appartenenza, non potrebbero essersi formati a seguito di impatti sulle superfici dei due corpi.

Non solo. Dimorphos sarebbe nato in due fase, ereditando parte dei massi da Didymos, grazie al cosiddetto effetto Yorp (Yarkovsky-O’Keefe-Radzievskii-Paddack).
L'effetto Yorp si verifica quando la luce solare assorbita viene riemessa dalla superficie dell'oggetto sotto forma di calore. Se la forma dell'asteroide è molto irregolare, il calore non viene irradiato in modo uniforme e ciò crea un piccolo ma continuo effetto torcente sul corpo che ne modifica la velocità di rotazione. Un risultato apprezzabile se l'asteroide in questione ha dimensioni chilometriche o sub-chilometriche, come nel caso di Didymos.

Secondo le simulazioni, basterebbe una lievissima accelerazione per ridurre il periodo di rotazione dell'oggetto e causare l’eiezione di massi dalla regione equatoriale. Secondo i ricercatori, quindi, è possibile che in passato Didymos ruotasse diversamente a causa dell’effetto Yorp e, abbia lanciato alcuni massi contribuendo alla formazione di Dimorphos. Teoria supportata sia dalla simile distribuzione dimensionale dei sassi su entrambe gli asteroidi, sia dalla minore densità di massi all’equatore su Didymos.


Terzo studio

Alice Lucchetti, anche lei dell'INAF, e i colleghi hanno scoperto che la fatica termica, il graduale indebolimento e la rottura di un materiale causati dal calore, potrebbe rapidamente rompere i massi sulla superficie di Dimorphos, generando linee di superficie e alterando le caratteristiche fisiche di questo tipo di asteroide più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza.

Il team ha analizzato le immagini catturate dalla Draco (Didymos Reconnaissance and Asteroid Camera for Optical navigation) a bordo di Dart poco prima dell’impatto che, con una risoluzione di 5,5 centimetri, ha permesso di vedere le fratture sulle rocce di Dimorphos con lunghezze variabili da 0,4 a 3 metri.

"La domanda di partenza è stata: come si formano le fratture che vediamo sui massi di Dimorphos?", ha spiegato Lucchetti. "Abbiamo mappato manualmente le fratture, misurato la loro lunghezza e orientazione, notando che esse sembrano puntare quasi tutte verso la stessa direzione (nordovest-sudest), un dato indicativo dell’azione dello stress termico su queste rocce. Infatti, se queste fossero causate da frane o impatti, punterebbero tutte in direzioni diverse".

I ricercatori hanno usato un modello termofisico per ricavare le differenze di temperatura fra giorno e notte sull’asteroide. I risultati hanno mostrato che Sole è effettivamente in grado di fratturare le rocce di Dimorphos e che, in un arco di tempo tra 10mila e 100mila anni, gli stress termici generano la formazione di fratture superficiali che si propagano più rapidamente nella direzione orizzontale al masso stesso rispetto a quella verticale. 

Il fenomeno sarebbe avvenuto in situ su Dimorphos dopo il trasferimento dei massi dall’asteroide Didymos.

"Capire come la fatica termica (questo il nome in gergo del fenomeno) agisca su piccoli corpi di diversa composizione è importante non solo per avanzare la conoscenza riguardo la formazione ed evoluzione del Sistema Solare", ha detto Lucchetti, "ma anche nell’ambito della difesa planetaria. Per predire la risposta e l’efficacia di un impattore cinetico, come la sonda Dart su Dimorphos, bisogna conoscere bene il comportamento dei massi presenti sulla superficie dell’asteroide".

Il fatto che gli scienziati non siano riusciti a identificare la polvere derivata da questa fratturazione per stress termico suggerisce che Dimorphos sia molto giovane (in termini geologici). Quella che stiamo vedendo sarebbe, quindi, la prima generazione di fratture formatesi sui massi dell'asteroide. 

fratture su Dimoprhos

Mosaico ad alta risoluzione di Dimorphos in cui il riquadro rosa mostra l’area analizzata nell’articolo di Lucchetti et al. (2024); b) Primo piano dell’immagine acquisita 1,818 s prima dell’impatto di Dart in cui sono visibili e identificabili le fratture dei massi; c) Fratture dei massi mappate da Lucchetti et al. (2024). Il masso più grande della scena (6,62 m di diametro), Atabaque Saxum, presenta 6 fratture sulla sua superficie.
Crediti: Nasa/Johns Hopkins Apl; 10.1038/s41467-024-50145-y

 
Quarto studio

Supervisionato dalla ricercatrice Naomi Murdoch dell'ISAE-SUPAERO di Tolosa, Francia e dai colleghi, un articolo guidato dagli studenti Jeanne Bigot e Pauline Lombardo ha determinato che la capacità portante di Didymos, ovvero la capacità della superficie di supportare carichi applicati, è almeno 1.000 volte inferiore a quella della sabbia asciutta sulla Terra o del suolo lunare. Questo è considerato un parametro importante per comprendere e prevedere la risposta alla tecnica dell'impattatore di difesa planetaria.

Quinto studio

Colas Robin, anche lui dell'ISAE-SUPAERO e colleghi hanno analizzato i massi sulla superficie di Dimorphos, confrontandoli con quelli su altri asteroidi considerati cumuli di macerie, come Itokawa, Ryugu e Bennu. I risultati hanno mostrato che i massi condividono caratteristiche simili. Il che suggerisce che tutti questi tipi di asteroidi si sono formati e si sono evoluti anche in modo simile. Il team ha anche notato che, probabilmente, i massi allungati attorno al sito di impatto DART si sono formati a seguito della collisione.