A prima vista, si tratta di un patina nera costituita da un materiale a bassa riflettanza (LRM - low-reflectance material), depositata per lo più nei bacini da impatto o attorno alle bocche vulcaniche. Il cratere Degas, di 52 chilometri di diametro nell'immagine in apertura, ne è un esempio e molti altri sono archiviati tra le immagini nel catalogo ufficiale.

Patrick Peplowski, ricercatore presso la Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL), a Laurel (Maryland), autore principale della ricerca, ha spiegato nel report che finora le analisi chimiche della superficie di Mercurio avevano solo aggiunto altri misteri all'enigma, mostrando una scarsa presenza di ferro e titanio che di norma sono invece gli agenti "oscuranti" per eccellenza su altri corpi del Sistema Solare, come la Luna. Il carbonio, quindi, fu proposto come possibile spiegazione, peraltro senza alcuna prova concreta, supponendo che fosse stato consegnato al pianeta dagli impatti cometari. Ma le ultime fasi della missione MESSENGER hanno offerto una grande opportunità quando la sonda ha iniziato a volare a bassa quota sulla superficie (entro qualche decina di chilometri) raccogliendo dati ad alta risoluzione, incluse le misure prese fino a qualche giorno prima dell'impatto finale che ha segnato la fine ad aprile 2015.

Il ricco set di dati raccolto dal Gamma-Ray and Neutron Spectrometer (GRNS) ha dimostrato che la quantità di carbonio è insolitamente alta su Mercurio, rispetto a quella presente sulla Luna, sulla Terra e su Marte dove si trova in concentrazioni pari a 100 parti per milione.

Il GRNS era composto di due strumenti.
Il Gamma-Ray Spectrometer (GRS) misurava i raggi gamma emessi dai nuclei degli atomi sulla superficie di Mercurio colpiti dai raggi cosmici, cercando la firma di specifici elementi biologicamente importanti quali l'idrogeno, il magnesio, il silicio, l'ossigeno, il ferro, il titanio, il sodio ed il calcio, o di elementi naturalmente radioattivi come il potassio, il torio e l'uranio.
Il Neutron Spectrometer (NS) mappava le variazioni nei neutroni veloci, termici e epitermali che la superficie di Mercurio emette quando viene colpita dai raggi cosmici. I neutroni più veloci vengono sparati direttamente nello spazio mentre quelli più lenti tendono a scontrarsi con gli atomi prossimi alla superficie. Quando ciò avviene, si verifica anche uno scambio di energia analizzando il quale gli scienziati possono stimare la presenza e la quantità di alcuni elementi, come l'idrogeno.

Ebbene, gli aumenti dei neutroni a bassa energia rilevati dal GRNS sono risultati spazialmente correlati con le concentrazioni dei materiali LRM.
In particolare, il carbonio si è rivelato l'unico agente oscurante compatibile con l'inefficiente assorbimento di neutroni mostrato dai dati.

"La mappatura globale degli LRM dimostra che le zone di origine [per questi materiali] devono in generale trovarsi in profondità all'interno della crosta di Mercurio perché i depositi figurano in superficie solo dove sono presenti grandi crateri da impatto", ha dichiarato la co-autrice dello studio Rachel Klima, geologa planetaria all'APL.
"Come la Luna e gli altri pianeti interni, Mercurio aveva probabilmente un oceano di magma globale quando era giovane e la superficie era molto calda", ha continuato Klima, "Esperimenti e modelli mostrano che questo mare di magma raffreddato ed i minerali cominciarono a cristallizzare, quest'ultimi finiti dispersi ad eccezione della grafite che si sarebbe comportata invece in modo più vivace, accumulandosi come crosta originale di Mercurio. Pensiamo che gli LRM potrebbero contenere i resti di questa crosta primordiale. Se così fosse, vorrebbe dire che stiamo osservando la superficie di 4,6 miliardi di anni fa".

"Questi risultati non solo testimoniano direttamente come si è formata la prima crosta di Mercurio ma forniscono indizi sulla composizione dei materiali volatili tra i quali è maturato il pianeta, il che a sua volta, ci racconta la distribuzione del materiale in orbita attorno al Sole durante la formazione del Sistema Solare".

Un mistero risolto, quindi, ma si sa ancora poco sul resto della composizione della crosta di Mercurio.
"Abbiamo alcune idee basate sui dati elementari rilevati dallo spettrometro X-Ray e Gamma-Ray di MESSENGER ma dato che la superficie è così povera in ferro non possiamo usare gli spettri nel visibile e nel vicino infrarosso per sondare la composizione mineralogica dei materiali come facciamo per gli altri corpi rocciosi", ha aggiunto ancora Klima.

"Questo risultato è un testamento del successo fenomenale della missione MESSENGER. Aggiunge alla lunga lista altri elementi per cui il pianeta più interno si differenzia dai suoi vicini e fornisce ulteriori indizi sull'origine e l'evoluzione del giovane Sistema Solare interno", ha commentato Larry Nittler, co-autore e ricercatore della missione MESSENGER.

Remote sensing evidence for an ancient carbon-bearing crust on Mercury [abstract]

Mercury’s global surface is markedly darker than predicted from its measured elemental composition. The darkening agent, which has not been previously identified, is most concentrated within Mercury’s lowest-reflectance spectral unit, the low-reflectance material. This low-reflectance material is generally found in large impact craters and their ejecta, which suggests a mid-to-lower crustal origin. Here we present neutron spectroscopy measurements of Mercury’s surface from the MESSENGER spacecraft that reveal increases in thermal-neutron count rates that correlate spatially with deposits of low-reflectance material. The only element consistent with both the neutron measurements and visible to near-infrared spectra of low-reflectance material is carbon, at an abundance that is 1–3 wt% greater than surrounding, higher-reflectance material. We infer that carbon is the primary darkening agent on Mercury and that the low-reflectance material samples carbon-bearing deposits within the planet’s crust. Our findings are consistent with the formation of a graphite flotation crust from an early magma ocean5, and we propose that the heavily disrupted remnants of this ancient layer persist beneath the present upper crust. Under this scenario, Mercury’s globally low reflectance results from mixing of the ancient graphite-rich crust with overlying volcanic materials via impact processes or assimilation of carbon into rising magmas during secondary crustal formation.