Marte, vita su Marte e meteoriti è sempre stato un discusso connubio di argomenti.
Di tanto in tanto notizie clamorose hanno il loro breve momento di gloria, per poi scomparire più o meno dimenticate.
Forse questa sarà una tra tante ma gli scienziati che hanno condotto il nuovo studio sul meteorite Yamato 000593, pubblicato nel mese di febbraio sulla rivista Astrobiology, partono con cautela: Yamato 000593 non dimostrerebbe in modo inequivocabile che su Marte c'era la vita ma conterrebbe qualcosa di veramente interessante.
Nel meteorite, micro-tunnel e sferule ricche di carbonio, lo farebbero assomigliare particolarmente ad alcune rocce terrestri alterate da forme di vita.
"Non possiamo escludere che le zone ricche di carbonio in entrambi le caratteristiche possano essere il prodotto di meccanismi abiotici; comunque, composizione e caratteristiche simili in campioni terrestri, dove sono state interpretate come biogene, implicano la possibilità intrigante che anche quelle marziane si siano formate per attività biologica", scrivono gli autori nello studio online.
L'annuncio arriva 18 anni dopo la scoperta di possibili forme di vita all'interno del famoso meteorite Allan Hills 84001, conosciuto come ALH 84001.
"Siamo convinti che questo è un nuovo importante passo per rispondere alla domanda: c'è vita su Marte?", ha detto alla NBS News Everett Gibson, ricercatore presso il Johnson Space Center della NASA, che è stato coinvolto in entrambi gli studi.
Ma per ALH 84001, gran parte della comunità scientifica era stata irremovibile nell'affermare che quei "nanofossili" fossero di origine abiotica. Così, anche il nuovo documento dovrà fare i conti con una buone dose di scetticismo.
Gibson e colleghi si sono concentrati sulle strutture microscopiche in profondità al campione di 13,5 chilogrammi del meteorite Yamato 000593, ritrovato in Antartide da un team giapponese nel 2000.
L'analisi della composizione della roccia ha mostrato che si è formata su Marte circa 1,3 miliardi di anni fa, dove è stata alterata dalla interazione con l'acqua.
Gli scienziati ritengono che la roccia sia saltata via dalla superficie del Pianeta Rosso, abbia viaggiato nello spazio e sia piombata sulla Terra, negli ultimi 10.000 anni.
Nello studio, il team, guidato da Lauren White, del Jet Propulsion Laboratory della NASA, descrive i microscopici tunnel, come bolle di minerali ricche di carbonio, incorporate all'interno degli strati di roccia.
Per gli scienziati queste strutture sono molto suggestive perché se fossero state trovate sul fondo degli oceani terrestri, "diremmo: accidenti, questa pietra contiene la prova che c'era attività microbica che stava erodendo la roccia", dice Gibson.
White spiega alla NBC che, pubblicando questo documento, non è, e non è mai stata loro intenzione, dichiarare di aver trovato le prove della vita su Marte, ma semplicemente dovrebbe essere il lettore a valutare quanto scoperto e a contestualizzarlo.
Dalla controversa storia di ALH 84001, Gibson e altri ricercatori hanno cercato ulteriori prove a sostegno delle loro idee.
White entrò nel team nel 2007 quando gli fu chiesto di dare un'occhiata a Yamato 000593 e ne rimase ovviamente incuriosito, tanto da interpellare altri esperti per determinare se le curiose caratteristiche avessero riscontro in processi biologici qui sulla Terra. Ma la sfida maggiore era dimostrare che quelle particolari texture, fossero autoctone di Marte e non si fossero generate successivamente sul nostro pianeta.
Uno degli autori dello studio è David McKay, scienziato della NASA che prese posizioni feree per il meteorite ALH 84001, deceduto purtroppo un anno fa.
"Stava effettivamente lavorando su questo documento il giorno in cui morì ", spiega White.
"Ho promesso alla moglie che avrei pubblicato il lavoro, perché significava così tanto per lui".
Ma questa non sarà certo la svolta decisiva per sciogliere i dubbi.
"Non penso che la comunità scientifica troverà somiglianze in texture e composizione abbastanza convincenti come prova per l'origine biologica", dichiara Chris McKay (che non ha nulla a che fare con David McKay!), dell'Ames Research Center della NASA a Moffett Field, in California.
Quindi, quale sarà il prossimo passo?
"Dobbiamo andare alla fase successiva, strappare ed analizzare queste molecole di carbonio a parte", conclude Gibson.